Italia-Croazia, a sette secondi dalla fine

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Ivan Zazzaroni
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A sette secondi dalla fine abbiamo urlato di nuovo. Come diciotto anni fa: andiamo a Berlino, Beppe, tu vacci con Caressa e i mezzi di Sky, noi con meno entusiasmo rispetto al 2006, ma ci arriviamo ugualmente. Non dico di aver gioito come a Boston nel ’94, al gol di Baggio alla Nigeria, ma insomma ci sono andato vicino. Là era Baggio, qui Zaccagni. Ovunque l’azzurro. E adesso preghiamo che la storia si ripeta, anche se i presupposti non ci sono. Non possiamo fare altro. Non sappiamo fare altro. Non più, e da un pezzo.

Preghiamo sempre, noi. Preghiamo che il bravo allenatore risolva da solo i tanti, immensi problemi della Nazionale e del calcio italiano. Preghiamo che una squadra senza qualità si trasformi in qualcosa che non è. Preghiamo che Chiesa non giochi dall’inizio e poi preghiamo che lo metta dentro. Preghiamo che Jorginho abbia un’idea. Una, mica due. Preghiamo che Di Lorenzo si svegli dal torpore degli ultimi mesi. Preghiamo che un centravanti che ha segnato un solo gol in 19 partite, Scamacca, si trasformi improvvisamente in Paolo Rossi. E preghiamo che un ragazzo che non ha giocato una partita in un anno compia un miracolo. Ah, preghiamo anche che Donnarumma non prenda la febbre.

Temevamo il palleggio dei croati ma, a parte il primo quarto d’ora, ha palleggiato di più e meglio il bambino dello spot Esselunga, quello che non fa cadere il pallone nel lago e sogna di diventare azzurro. Non può sapere, il poverino, che non appena avrà 17 o 18 anni troverà posto solo in B. Altro che sogni... Dovevamo temere noi stessi, altro che la Croazia, e forse l’abbiamo anche fatto: nei minuti finali, quelli della disperazione, abbiamo addirittura cambiato Spalletti. Che l’ha buttata sul casino organizzato ed è diventato un ct compiuto. Alla fine conta solo il risultato.


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